Articoli Scientifici
La co-costruzione del rapporto “personale” maestro-allievo
Chi è un maestro?
Il maestro non è solo chi insegna un’arte, una scienza, una dottrina, chi eccelle per scienza o per abilità in qualcosa tanto da poterla insegnare ad altri o da essere preso a modello, ma è anche chi, come indicato letteralmente dal termine Sensei, è “nato prima” cioè colui che si è incamminato prima degli altri. Una guida che essendosi avventurata in un percorso di crescita umana, tecnica, morale e spirituale da più tempo, possiede l’esperienza necessaria per poter indirizzare e condurre altri, i suoi allievi, verso il cammino da lui stesso intrapreso in precedenza. Questa definizione trova la sua sintesi nell’aspetto comunicativo della relazione che, essendo parte integrante del rapporto, diventa una funzione in grado di coinvolgere e creare espressività e, infine, suscitare emozione, attraverso l’attivazione delle risorse e la consapevolezza delle proprie difficoltà: «[…] in questa maniera un maestro diventa colui che ti guida nel mondo, che ti fa crescere, che ti aiuta a diventare parte integrante del gruppo attraverso l’attivazione delle tue potenzialità». (Alberoni)
“Respirare” le emozioni nel karate-do

Lo strumento psico-fisico della respirazione diaframmatica consente alla persona di identificare una specie di mappa corporea soggettiva che diventa stimolo all’auto ascolto e strumento di riflessione per trovare risposte più adeguate alle sollecitazioni esterne. I più recenti studi di psicologia e di neuroscienze hanno evidenziano come lo stress (distress = stress negativo) sia in realtà influenzato oltre che da un livello di soglia soggettivo, anche da componenti fisiche, psichiche ed emozionali che contribuiscono e generare a loro volta disturbi secondari di vario tipo, siano essi sporadici, recidivanti o cronici.
La respirazione diaframmatica che agisce sulla componente psichica tramite un’azione introspettiva, dunque, oltre a permettere al praticante di Karate-do di acquisire una consapevolezza migliore del proprio corpo e del suo radicamento a terra, una capacità di concentrare le proprie forze e il proprio equilibrio interiore, può trasformare, se adeguatamente veicolata, le emozioni in volani di crescita interiore e tecnica nel confronto con l’altro. La conoscenza che si ha del Sé diventa una conoscenza irraggiungibile, fatta di un bagaglio teorico ed esperienziale difficilmente conoscibile nella sua pienezza. Questo, per molti aspetti, Boscolo (1996) lo rappresenta come “le piante dei piedi che quando ci si poggia sopra è impossibile guardarle”.
L’approccio sistemico-relazionale nel Karate-do (Parte 2)

Nel karatedo la dimensione corporea è via privilegiata di accesso e di dialogo con la nostra interiorità.
Il neurologo, neuro-scienziato e psicologo António Rosa Damásio in uno dei suoi saggi sosteneva che:
“E tuttavia assai prima dell’alba dell’umanità gli esseri erano esseri. A un certo punto dell’evoluzione, una coscienza elementare ebbe inizio. Con essa arrivò una mente, semplice; aumentando la complessità della mente, sopravvenne la possibilità di pensare e, ancora più tardi, di usare il linguaggio per comunicare e organizzare meglio il pensiero. Per noi, allora, all’inizio vi fu l’essere e solo in seguito vi fu il pensiero; e noi adesso quando veniamo al mondo e ci sviluppiamo, ancora cominciamo con l’essere e solo in seguito pensiamo […]”.
Dunque, siamo prima corpo poi mente; dunque, il corpo comunica il nostro pensiero “prima” della mente.
La percezione del proprio corpo è sempre mediata dall’immagine che gli altri hanno del nostro corpo, l’immagine stessa del corpo riflessa nello specchio non è mai fedele, perché non è sovrapponibile essendo simmetrica: è lo sguardo dell’altro che dà forma alla nostra immagine corporea, che si costruisce e si decostruisce nel continuo rapporto che l’Io ha con il mondo esterno.
La visione che ognuno di noi ha del proprio corpo, in tal senso, è sempre frutto di una continua mediazione e intersezione tra il soggetto e gli sguardi degli altri. Appare evidente, dunque, quanto sia fuorviante il senso comune che ci fa percepire il corpo come un’entità immutabile e statica, mentre esso è sempre in progress, inafferrabile, un costrutto simbolico che nasce dal rapporto conflittuale che il soggetto ha con la cultura e la storia del suo tempo.
L’approccio sistemico-relazionale nel Karate-do (Parte 1)

“La circolarità virtuosa” del sistema Dojo, dove il corpo ascolta e la mente sente.
“Sconfiggere il nemico senza combattere è la massima abilità…
Conoscere l’altro e se stessi – cento battaglie, senza rischi;
non conoscere l’altro e conoscere se stessi – a volte vittoria, a volte sconfitta; non conoscere l’altro né se stessi – ogni battaglia è un rischio certo.”
(Sun Tzu)
Il Karate Tradizionale, in ottica sistemico-relazionale, può diventare uno strumento d’eccezione per lavorare sulla complessa relazione esistente dell’individuo con i suoi gruppi di appartenenza, in quanto si presta alla valorizzazione della dinamica gruppale con il monitoraggio dei processi, dei movimenti e degli stati emotivi e, altresì, vengono assegnati compiti ed esercizi che stimolano sia la coesione sia l’aspetto individuale (attraverso lo studio delle tecniche, ma anche la conoscenza della terminologia specifica e della ritualità, la trasmissione dello spirito marziale e della sua filosofia divenendo ricerca interiore): l’esperienza formativa è un continuo interscambio di processi paralleli tra formazione/trasformazione, apprendimento/cambiamento, capire/sentire